Giulio Ruffini - La traccia che resta

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Giulio Ruffini - La traccia che resta
Disegni (1953-2005)

Rimini - Galleria dell'Immagine - Palazzo Gambalunga, via Gambalunga 27

18 dicembre 2021– 29 gennaio 2022, inaugurazione sabato 18 dicembre, ore 18 info: sito web musei comunali
a cura di Annamaria Bernucci

Orario: aperto 10 -13 e 16-19 - ingresso libero
chiuso il lunedì, sabato pomeriggio, domenica, 25 dicembre, 1° e 6 gennaio 2022
Catalogo: Longo editore Ravenna

Sono oltre sessanta i disegni, realizzati con diverse tecniche in un arco cronologico, che va dagli anni '50 al 2005, che saranno esposti alla Galleria dell'Immagine di Palazzo Gambalunga.
Verrà presentata una selezione da una folta e estesa pratica disegnativa e grafica dell'artista ravennate. Dagli anni di formazione, all'interpretazione di alcune figure (come la madre eletta a simbolo dei cicli della vita, del passato e del presente)) viste in chiave allegorica, all'impegno neorealista, ai tratti post-cubisti, al periodo di più forte carica espressionista e di impegno etico-politico, come il ciclo che esplora il paese Italia negli anni '70.

Al centro di tutto, la vita che scorre, l'attitudine talentuosa al segno e alla trama inventiva, senza indulgenze, ma con grandissimo sapere e con il sentimento che percorre ogni direzione.
Per Ruffini il disegno è un atto di conoscenza e di analisi, una pratica quotidiana, corroborata anche dagli anni del suo insegnamento al Liceo Artistico di Ravenna; ma per l'artista non è solo la continuità di un esercizio, di un processo automatico e gestuale, bensì un'operazione cognitiva deliberata e forte.
I percorsi narrativi indicati sono solo una porzione dei tanti abbracciati dall'artista nel corso della sua lunga attività, come scintille che segnano il passo di un cammino intenso e articolato.
Il tema della traccia, evocato dal titolo di questa mostra, allude a un viaggio introspettivo che Ruffini ha percorso inseguendo i 'segni' del proprio tempo lasciando un suo solco profondo e autonomo nel contesto artistico della Romagna.

Ruffini ha voluto sempre essere al passo del suo tempo contemporaneo. E così dall'essere cantore del mondo rurale e popolare nel dopoguerra, dai tormenti ancora accesi dalla Resistenza, in chiave neorealista, diviene testimone del tramonto di un mondo schiacciato dalla industrializzazione e dai cambiamenti sociali e non ha esitato a raccontare i vizi e le tragedie del quotidiano e assumere una lingua aggiornata, toccando anche vie che si sono avvicendate nel suo fare artistico, da declinazioni informali a rivisitazioni surrealiste a della pop art.

Grazie alla collaborazione degli eredi Ruffini e dell'associazione Percorsi di Mezzano, paese e comunità a cui il pittore era legato profondamente e dove la sua casa-studio (nella quale si conserva un corpus assai vasto di opere, tra pitture, disegni, matrici di incisioni, testimonianza della sua infaticabile operosità artistica) è tuttora fulcro imprescindibile per avvicinarsi all'artista ravennate.

Ruffini era nato a Villanova di Bagnacavallo nel 1921 e inizia a operare giovanissimo dopo aver frequentato la Scuola cotignolese di Arti e Mestieri diretta da Luigi Varoli e l'Accademia di Belle Arti di Ravenna. Nel dopoguerra partecipa al dibattito artistico nazionale come esponente di spicco del fronte neorealista e prende parte alle più importanti rassegne e concorsi. Ottiene ben presto numerosi riconoscimenti: vince il Premio Diomira di Milano (1951) e il Premio Suzzara (1952) con opere di impegno sociale. Nel 1954 allestisce la sua prima personale a Bologna ed è presente alla Biennale di Venezia. Nel 1955 partecipa alla Quadriennale di Roma ed è premiato alla “Mostra della Resistenza” di Ferrara. Inizia a frequentare Mattia Moreni e la sua pittura realista registra sempre più occasioni di contaminazioni con la poetica informale. Produce il ciclo delle “Crocefissioni” che segna nella sua ricerca un ulteriore passo avanti verso derive informali che continueranno per tutti gli anni '60, senza tralasciare tuttavia le strade della figurazione, rivisitata attraverso lenti diverse e declinazioni che vanno dalla visionarietà surrealista alle corrosive armi dell'espressionismo. Una produzione, la sua, che si snoda per cicli tematici, per indagini che assumono una forza compulsiva e irradiante, affidando alle immagini valori simbolici e allegorici, tra realtà e memoria. Disincanti e allusioni a un mondo che scompare sotto la spinta di una modernità dirompente e cieca: ecco allora la serie “Scomparsa della Romagna” e i “Monumenti” dove il tema e la figura della madre assurge a simbolo, immagine totemica e prototipo del tempo passato e presente.